Visitando il parco in momenti diversi è facile rendersi conto di come, in relazione alla frequenza e all'intensità delle piogge, la quantità d'acqua nel greto può variare, con differenze così grandi da rendere improprio, per questo importante corso d'acqua, l'attributo idrologico di fiume.
Il regime del Trebbia, ossia la variazione della portata d'acqua nel corso dell'anno, è infatti tipicamente torrentizio.
E' un carattere che si deve principalmente alla limitata estensione del bacino idrografico, che pur essendo il maggiore dell'Appennino settentrionale (1070 km2 circa) non raccoglie precipitazioni sufficientemente variate da equilibrare le quantità d'acqua che giungono nel greto, rendendo le portate di magra e piena molto dissimili tra loro.
Il Trebbia nasce a circa 800 m di altezza da una sorgente situata a est del massiccio montuoso dell'Antola (1597 m), alle pendici del Monte Prelà (1406 m), in una fascia montuosa segnata da una piovosità di 2000 mm/anno, e riceve sulla destra idrografica il suo più importante affluente, l'Aveto, grazie al quale raddoppia la portata.
Nel regime del Trebbia hanno una certa influenza due invasi artificiali creati dalla diga di Brugneto, situata in territorio ligure lungo l'omonima valle, e da quella di Boschi, lungo la valle dell'Aveto.
L'intero corso del Trebbia risente molto dei periodi di piena e magra, ma è proprio nel tratto tutelato dal parco che questa differenza diventa estrema: la portata media, infatti, è qui di circa 40 m3/sec (la più alta presso lo sbocco vallivo di tutta l'Emilia-Romagna), mentre le massime piene, come è stato misurato presso Rivergaro, possono raggiungere valori di 2000-2500 m3/sec; durante la stagione estiva, invece, ci sono periodi in cui lo scorrimento idrico è quasi assente.
La causa delle forti magre estive è, ovviamente, da ricondurre anche ai prelievi irrigui: i principali si trovano all'altezza di Rivalta, dove dal Trebbia si staccano due importanti canali, detti Rio Comune di destra e Rio Comune di sinistra, che sottraggono una cospicua parte della portata del fiume per usi agricoli.
Dopo aver percorso 95 km tra montagne e colline, il Trebbia entra in pianura e, come tutti i corsi d'acqua, per la perdita di energia dovuta alla minore pendenza abbandona gran parte del materiale detritico trasportato, formando un ventaglio di sedimenti chiamato, per la forma a tronco di cono, conoide.
Il conoide del Trebbia si estende sino alla confluenza nel Po e l'acqua ha quindi energia sufficiente per trasportare sino alla foce una parte del pesante carico ciottoloso.
Nella porzione centrale del parco l'alveo del Trebbia è costituito da un imponente materasso ghiaioso-sabbioso, testimonianza della sua elevata capacità di trasporto solido, dove le dimensioni e la quantità dei ciottoli variano da monte a valle in relazione al diminuire della forza della corrente.
Da Rivalta verso valle, a partire dagli anni '50 del secolo scorso, i prelievi di ghiaia direttamente in alveo hanno però causato importanti variazioni morfologiche, con il restringimento e approfondimento per erosione del greto e il conseguente abbandono di rami laterali e della golena.
Accanto all'alveo si estendono le antiche superfici del conoide, i cosiddetti pianalti, che rappresentano i precedenti livelli a cui scorreva il fiume.
Queste superfici corrispondono alle aree pianeggianti che verso monte, chiuse tra i versanti vallivi, prendono il nome di terrazzi alluvionali.
Su queste superfici si conservano suoli rossi, fortemente arricchiti in ossidi di ferro, che si sono evoluti in altre fasi climatiche, come i periodi caldi che segnarono il passaggio tra le ultime due glaciazioni.
Le superfici pianeggianti dei terrazzi e del conoide, ottimali per l'agricoltura e ideali per l'espansione degli insediamenti, danno forma al paesaggio che incornicia il fiume, la cui principale fragilità è dovuta proprio alla straordinaria ricchezza in ghiaie, come testimoniano le estese aree estrattive che segnano i confini del parco.
Tra Rivalta e Noce il greto è uno spettacolare pavimento ciottoloso nel quale i numerosi rami d'acqua creano un esemplare tratto fluviale a canali intrecciati.
È un tipo di alveo che si deve all'elevata capacità di trasporto solido del fiume, che deposita i ciottoli in nuclei localizzati nella fase decrescente delle piene, con le acque che scorrono tra dossi ciottolosi (barre fluviali) che poi emergono come isolotti.
Il greto a canali intrecciati è molto mobile e segnato dai periodici mutamenti delle barre che, sottoposte alla straordinaria forza della corrente, cambiano forma, si spostano in avanti, si accrescono ulteriormente o vengono erose.
I diversi ambienti che accompagnano lo sviluppo longitudinale del corso d'acqua sono anch'essi legati alle dinamiche del greto.
Il pavimento ciottoloso dei canali, con scarse lenti sabbiose, è occupato quasi sempre dall'acqua e privo di vegetazione, mentre le barre spesso emergono abbastanza da permettere alle piante di colonizzarne la sommità, con modalità diverse a seconda dell'altezza.
Le barre più basse, sommerse dalle piene ordinarie, sono caratterizzate da una estrema mobilità, prive di colonizzazione vegetale oppure rivestite da una peculiare vegetazione a ciclo stagionale.
Le barre più alte, sommerse solo dalle piene maggiori, formano isole resistenti nel greto, colonizzate da boschetti di pioppi e salici che ne favoriscono la stabilizzazione.
Nelle zone golenali che affiancano il fiume, solo saltuariamente invase dalle acque, l'acqua scorre di solito con scarsa energia, frenata anche dall'abbondante vegetazione presente.
Alcune depressioni, soprattutto nelle vicinanze del greto, si presentano come specchi d'acqua temporanei, con il fondo impermeabilizzato dai sedimenti limoso-argillosi, circondati dalla tipica vegetazione igrofila.
Testo tratto dalla pubblicazione "Parco Fluviale Regionale del Trebbia", promossa dall'Assessorato Ambiente e Riqualificazione Urbana della Regione Emilia-Romagna. © Regione Emilia-Romagna, 2012.
Coordinamento: Servizio Parchi e Risorse forestali (Enzo Valbonesi, Monica Palazzini, Maria Vittoria Biondi, Stefania Vecchio).
A cura della Fondazione Villa Ghigi.
Testi: Ivan Bisetti, Mariangela Cazzoli, Emanuela Rondoni, Chiara Spotorno.